L’identità del museo

Alle Gallerie degli Uffizi è andato il Premio Compasso d’Oro, il più antico e importante premio di design al mondo, per l’efficacia del loro logo.

Queste le motivazioni dell’assegnazione:

“È sintesi di valori e identità condensati in un monogramma simbolico. Semplicità e unicità garantiscono la riconoscibilità e scoraggiano le imitazioni”.

E’ stato il direttore Eike Schmidt nel 2017, a voler dotare il celebre complesso museale, per la prima volta nella sua storia, di un logo che ne rappresentasse l’immagine:

“Per le Gallerie degli Uffizi era necessario avere un logo ben riconoscibile dai visitatori che provengono da tutto il mondo, anche da culture che non utilizzano il nostro alfabeto latino. Siamo grati ad Elio Carmi e Alessandro Ubertis di aver per la prima volta creato un’identità grafica per gli Uffizi che riesce a rendere le proporzioni nobili e semplici dell’architettura vasariana totalmente contemporanee. 

La parola a Gianluca Magri

L’identità delle Gallerie degli Uffizi sintetizza in un segno aperto la confluenza di tre riferimenti principali:

  • l’arco vasariano, esplicito omaggio al Rinascimento fiorentino, significante trait d’union tra la natura e l’arte, la storia e il domani.
  • la divina proportione o sezione aurea, dalle proprietà matematiche ritrovabili in molti contesti naturali e culturali, simbolo di equilibrio e perfezione.
  • il monogramma, sintesi per formare segni grafici di appartenenza. In arte per primo fu Albrecht Dürer a moltiplicarlo, diffondendo cultura.

Ho così pensato di interpellare a Gianluca Magri, Art Director e consulente, già ospite lo scorso luglio del Summit del Museo Italiano, per sentire la sua opinione in merito.

“Una notizia sorprendente, ma se esaminiamo meglio ciò che è accaduto veramente, diventa entusiasmante.

Innanzitutto il premio: Il Compasso d’Oro è il più antico e prestigioso premio per il design italiano, conferito dall’Associazione per il Design Industriale, solitamente a brand di automobili, costruzioni, prodotti e, in generale, oggetti “tangibili”.

Potrei dirti che è tipo il Telegatto dei premi per il design!

Questa mia ironia nasconde in realtà una ben più marcata invidia/ammirazione e una certa emozione e curiosità. Stiamo pur sempre parlando di un riconoscimento enorme, creato e sostenuto da divinità leggendarie del design industriale e non.

Quale logo o branding può essere così pazzesco da ricevere un Compasso d’Oro?”.

Non viene lasciato nulla al caso

“È stato fatto un lavoro titanico, un solo estratto presente sul brand book ci può dare un’idea di quanto lavoro ci sia stato e quanto NULLA sia stato lasciato al caso. Niente, proprio niente è passato inosservato. Dall’editoriale agli spazi, alla comunicazione digitale e stampata, il linguaggio generale e le regole da osservare. 

Tutto è stato definito, progettato e impostato attorno al marchio, un monogramma incredibilmente semplice. 

Ora però ti dico il punto che più mi intriga: trasformare un museo (piuttosto, IL museo… parliamo degli Uffizi/Palazzo Pitti/Giardino di Boboli) in un “prodotto”. 

Descrivere, a livello figurativo, l’immagine e l’identità di una realtà pubblica tanto da meritarsi un premio di questa portata. Io lo trovo bellissimo!

Mi da conferma sul ragionamento che ho portato al Summit del Museo Italiano

creare un brand non è solo fare un bel “logo”, non basta far vedere che sai sfruttare le proporzioni auree o che sei un mago di Illustrator. Il logo degli Uffizi è semplice, puro e lineare.

Non mancheranno sicuramente i contestatori con un immancabile (e stupidissimo) “cosa ci vuole, la sapevo fare anche io quella roba là”, ma la questione va ben oltre il bel segno grafico e la perfezione delle proporzioni.

Qui si parla di linguaggio, attenzione ai dettagli, declinazioni infinite, ma soprattutto un lavoro che rappresenta al 100% le necessità e lo stile del cliente. 

Una nuova identità visiva completa, in grado di raccontare le Gallerie degli Uffizi nella loro interezza, rispettando la personalità delle singole entità. Una comunicazione completa e modulabile, che difende la riconoscibilità del committente.

Riassumendo: il premio se lo sono meritato non tanto per il dipinto (il monogramma), ma per l’incredibile cornice, il telaio e la parete che ospitano l’opera.

Concludo dicendo che sia da case history per tutti noi. Il marchio deve raccontare una storia e non solamente fare bella figura”.

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